domenica 9 novembre 2008

Tea for Two di Acquaviva


Il mio tè per Twostella di Acquaviva

Sono affascinata da molteplici aspetti della tradizione inglese e più che nelle tea room dei grandi hotel di lusso londinesi preferisco rifugiarmi nei piccoli cottage persi nella campagna, meglio se con roseto annesso, ad osservare i gruppetti di anziane amiche o le signorili coppie che lì si ritrovano a consumare un rito di civiltà.
Non cito in questa sede la cerimonia del tè giapponese Cha No Yu, che parla in realtà più di ospitalità che di convivialità (e per i Giapponesi c'è una grossa differenza), ma racconto del fascino armonioso di una sala da tè di Kioto dove mi ha accompagnato un'amica del luogo. La padrona di casa ogni pomeriggio apriva al pubblico, prevalentemente femminile, due stanze al piano terra della sua dimora per servire eleganza e pacatezza, gelatine trasparenti e delicatissimi dolcetti wagashi, Sencha fumante e tè freddo di orzo tostato Mugicha.
Due ritualità parallele, innegabilmente distanti in tutto, tranne nell'orgoglio di essere isole uniche e di avere tradizioni di civiltà secolare. In comune c'è forse il desiderio di eccellenza nell'ospitalità ed il rispetto per la delicatezza dei gesti. Entrambe le atmosfere sono per me difficili da ritrovare a casa, dove prima di tutto mi manca il tempo per dedicarmi con la dovuta cura a questo piacere.
Ma se penso ad una domenica pomeriggio d'autunno avanzato, ad amiche come te che sanno apprezzare la storia di una vecchia tazzina Rose of Engand e quel drizzle sottile che aiuta l'aria a profumare di Inghilterra, con un taglio prettamente anglosassone tutto diventa più semplice... Riservo la pura esperienza giapponese al prossimo incontro e ti apro le porte del mio “tè delle cinque”, con una leggera contaminazione tra Gran Bretagna e Giappone che riemerge qua e là, spezzando di fatto l'armonia codificata dientrambee le tradizioni per ritrovarne una mia personale.
Sul vassoio di lacca rossa stanno un bollitore giapponese tetsubin di ferro ed un nido di tè Tuocha nella sua carta istoriata, regalo di un'amica dello Yunnan cinese, senza zucchero ne' latte accantoperché è un Puh-er stagionato esige rispetto totale per la sua storia. Questo tè “da meditazione”, scelto per affetto più che per coerenza tematica, esclude un po' tutta una gamma di dolcetti delicati ed asseconda invece il mio gusto personale, più legato all'annullamento dei confini (anche qui!) tra il dolce ed il salato, con una leggera preferenza a favore di quest'ultimo....
In un tè all'inglese che si rispetti, ovviamente, una piccola parte dolce non potrebbe comunque mancare, quindi sulla tovaglietta da tè ricamata in famiglia, in bianco e tortora a piccoli ramage anni '60, dispongo un piattino di shortbread dal sottile retrogusto salino... La ricetta è la classica: tre parti di farina, due di burro ed una di zucchero, ma sostituendo 1/3 della farina con farina di riso ed abbondando con il pizzico di sale...
E se per gli scones resto nella tradizione seguendo la ricetta di Mark Hix (British Regional Food, Quadrille Publishing Ltd, pag. 76), ne' dolce ne' salata, in alternativa alla classica orange marmelade propongo una Tiptree orange & thyme, in cui miele, zucchero e Cointreau si miscelano alle arance insieme ad un goccio di aceto bianco ed un sospetto di aglio ed erbe aromatiche (tra confettura e chutney, insomma...). Alla clotted cream non so rinunciare, se riesco a prepararmela in casa (quando trovo il latte giusto ed un bel weekend libero....) ci aggiungo giusto una puntina di zafferano, sia per il colore che per il profumo.
Per la torta, da tagliare a losanghe, ho pensato alla ricetta di un'amica ungherese. Non ne conosco il nome tipico, ma si tratta di un dolce con una base di frolla, delle albicocche sciroppate ed una nuvola dorata di tuorli e meringa alle mandorle sopra, con la particolarità di usare il grasso d'oca nel guscio di base al posto del burro, dettaglio che nel nostro caso onora perfettamente l'aroma “terreno” del tè...
Come ben sai raccontano che l'inglese Conte di Sandwich abbia chiesto al cuoco del suo club di servirgli il roastbeef racchiuso tra due fette di pane per potersi sfamare senza abbandonare il tavolo da gioco. Raccontano anche, però, di un'antica tecnica giapponese per conservare il pesce alternato a strati di riso, sale e aceto, e che un gruppo di facchini durante una pausa abbia cominciato a mangiare questo pesce appallottolandolo con il riso fermentato per sfamarsi sul luogo senza abbandonare... il tavolaccio da gioco. Come resistere ora alla tentazione di “giocare” anche noi con due storie tanto simili, evidenziando ciò che accomuna tramezzini e sushi nel loro istituzionale rapporto con il tè?!
Così preparo un risotto bianco a cui aggiungo verso la fine una puntina di senape in polvere, lo frullo con poco brodo vegetale fino ad ottenere una crema densa, e la spalmo a triangoli sottilissimi su carta forno. Cuocio a 180° ... ed ho pronte delle “cialde da sandwich”, da spalmare appena prima di servire con pochissimo burro lavorato a crema con succo e scorza finissima di lime e farcire a strati con salmone (crudo!) sottilissimo, rondelle di cetriolo ed una fogliolina di shiso fresco...
Poi però torniamo decisamente in Inghilterra, con morbidi sandwich di whole wheat bread: un velo di burro, aromatizzato allo Sherry e lavorato con noci e fichi secchi tritatissimi, ed il pane è pronto ad accogliere qualche fetta sottile e profumata di Wiltshire cured ham.
Sul vassoio li alternerei a sandwich di pane bianco: un lato spalmato di burro alla noce moscata, l'altro con patè di fegato (cotto con cipolla, sfumato con poco aceto balsamico, frullato con uova sode, un piccolo cappero, dragoncello, 1 cucchiaino di Grand Marnier ed un pizzico di scorza d'arancia e pepe bianco), accoppiati con al centro una sottilissima fetta di mela rossa con la buccia.
Un ultimo tocco “isolano”: una ciotolina di edamame, baccelli verdi di soya semplicemente lessati e serviti, caldi come il tè, con una leggera spoverata di cristalli di sale di Maldon misti a polvere di alghe nori tostate (... stessa seaweed della gallese laverbread, appunto).
Direi che la tavola è pronta, e quando arrivi a casa mi piacerebbe farti ritrovare l'atmosfera pacata di quella stanza vuota attraversata da un raggio di sole polveroso che Virginia Woolf descrive in “Gita al faro”. Se poi la nostra golosità si riconoscesse nei versi di William Carlos Williams non avremmo bisogno di altra musica che quella delle nostre parole sorridenti:

I have eaten
the plums
that were in
the icebox
and which
you were probably
saving
for breakfast
Forgive me
they were delicious
so sweet
and so cold

Nella foto: dolcetti autunnali esclusivi della paticceria giapponese che ha inventato i confettini a forma di fiori (li vedi a fianco di zucca, foglie d'acero eccetera) quando è nata la principessina Aiko figlia dell'imperatore.

Grazie Twostella per avermi coinvolto in questa piacevolissima esperienza della memoria, della fantasia e della condivisione...

Acquaviva

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